«Mi muovo lentamente. Ho la sciatica». Derrick May si siede al nostro tavolo tenendosi una mano sulla parte inferiore della schiena. Il padre della musica techno, uno dei più celebri dj al mondo, colui che da trent’anni fa ballare milioni di persone, si presenta così, con un acciacco che ti aspetteresti più da un vicino di casa. La cosa mi sorprende e mi rilassa. Tuttavia, a differenza degli altri comuni mortali con lo stesso problema, a Derrick – un cinquantunenne in perfetta forma – il mal di schiena viene perché ogni settimana attraversa l’Atlantico per suonare nei più importanti festival e club d’Europa.
Il locale che ha scelto per vederci è l’Astro, una caffetteria un po’ hipster, molto buona e decisamente accogliente (un barista, Brad, si è ricordato il mio nome e io, abituata ai ritmi di New York, mi sono quasi commossa). Si trova a Corktown, il più antico quartiere rimasto in piedi a Detroit, storicamente sede della comunità irlandese. Negli ultimi anni, a fianco dei vecchi pub in cui scorrevano litri di Guinness dopo le partite dei Tigers, uno in fila all’altro stanno aprendo ristoranti, caffetterie e locali che non hanno niente da invidiare a quelli più modaioli di Brooklyn. L’Astro si trova su Michigan Avenue, una strada che partendo da Downtown Detroit attraversa lo Stato per 220 miglia, fino a New Buffalo, poco distante dal confine con l’Illinois (a circa un’ora da Chicago). Per gli abitanti di Detroit e dintorni è la statale che porta diretti a Dearborn, una cittadina conosciuta essenzialmente per due ragioni: ospita la storica sede di Ford e presenta la più alta concentrazione di persone con origini arabe in America.
Da Astro, Derrick è di casa. D’altronde in città lo conoscono – e lo amano – un po’ tutti. Ordina un caffè (si può scegliere tra diverse qualità e viene filtrato a mano: non bisogna avere fretta) e un buttermilk scone, che mi dicono essere una delle specialità della casa. Io invece divido con Antonio un panino croccante ripieno di avocado, succo di limone e prezzemolo. Per la sua semplicità ero convinta di poterlo rifare tale e quale a casa – e ci ho provato tante volte – ma non è mai stato lo stesso. Derrick spiega che il locale è gestito da una coppia, lui originario dell’area di Detroit, lei australiana. E che lei è bravissima in cucina. Veniamo a noi. «Qui a Detroit ti chiamano the Innovator, come il primo album che hai prodotto con il tuo vero nome. Sostengono che più di tutti, tra gli altri fondatori della musica techno, tu abbia saputo sperimentare e mescolare generi diversi». Derrick afferra la bottiglia di vetro trasparente appoggiata sul tavolo, mezza piena d’acqua. «Il processo di creazione è come l’innamoramento. Ed è come questa bottiglia. Con il tempo gradualmente si svuota, così come si spezzano i cuori. Non si può tornare indietro». La nostra breve conversazione al bar finisce così, con una metafora. «Ti va se continuiamo a parlare in macchina?».