«Richard Wagner ha dovuto battersi per imporre al pubblico la Nona Sinfonia di Beethoven, che oggi tutti conosciamo, è diventata l’inno europeo, il simbolo stesso della libertà. La musica nuova ha sempre faticato per imporsi».
Maurizio Pollini rimane fedele agli ideali che hanno segnato la sua vita di musicista e di innovatore. E, poche settimane dopo la scomparsa dell’amico Pierre Boulez, lancia un grido d’artista, perché non si dimentichi, perché non prevalga l’abitudine, l’ovvietà. L’ora fissata per l’incontro è la solita. A casa, alle 15, dopo una mattinata di studio e dopo il pranzo in cucina. «Boulez è stato un genio della composizione, un grande direttore d’orchestra, un saggista, un uomo che ha fatto tutto il possibile per diffondere la musica moderna. Con coerenza per tutta la vita: la sua perdita mi lascia triste e preoccupato».
Preoccupato che cali il silenzio sulla musica sua e del suo tempo?
«Il problema è generale. Arnold Schoenberg ha abbandonato la musica tonale più di cento anni fa, però il grande pubblico nel mondo non ha ancora completamente digerito questo passo straordinario, non ha compreso l’espressività di questa musica».
Perché?
«Per un non sufficiente ascolto. Per una mancanza di esecuzioni che avrebbero dovuto abituarlo a seguire con interesse e con gioia il suo linguaggio».
Chi non ama la musica contemporanea dice che è la natura del nostro orecchio a rifiutarla.
«No! Nel 1400 era inconcepibile finire un pezzo di musica come finisce un pezzo dell’età classica e romantica. Non c’è una predisposizione naturale dell’orecchio alla musica tonale. Ci sono convenzioni e abitudini, convalidate da capolavori, ma non una legge di natura».
I compositori contemporanei hanno trascurato il pubblico?
«L’artista spera sempre di essere compreso, ma non può pensare esclusivamente all’ascoltatore. La sua molla è la ricerca, altrimenti sarebbe un intrattenitore, che pensa non alla grandezza dell’opera, ma al piacere effimero».