L’articolo con il quale Ottavio Ragone ha voluto avviare il suo lavoro di direttore di Repubblica Napoli ha esplicitato un’ispirazione, culturale e politica, quella del grande Meridionalismo.
È una tradizione impegnativa, che inizia con le parole profetiche di Mazzini: “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”. E che attraversa tutto il secolo scorso: Fortunato, Salvemini, Gramsci, Nitti, Sturzo, Dorso fino a Saraceno, Compagna, mio padre e molti altri che, insieme a migliaia di persone, hanno lavorato per il riscatto, l’innovazione, la lotta ai potentati fondati sull’interesse proprio contro quello comune e per una politica capace di guidare questa spinta.
Il Meridionalismo era fatto di persone molto diverse e che sostenevano posizioni differenti. Eppure avevano alcuni forti tratti comuni. Erano capaci di analizzare in modo rigoroso la nostra realtà entro lo scenario nazionale ed europeo. Facevano proposte bene articolate legate a persone competenti. Pensavano che il nostro riscatto non poteva avvenire con la demagogia né arrendendosi al “piangi e fotti” dei notabiliati parassitari.
Non erano “élites di testimonianza” ma si impegnavano a “fare politica” coinvolgendo migliaia di insegnanti, imprenditori, funzionari pubblici, artigiani, contadini, scienziati, operai attraverso l’impegno disinteressato, anche nei partiti, nei sindacati, nell’associazionismo. Non sono mai stati “contro il Nord” ma “insieme alla parte migliore del Nord” perché ogni volta hanno cercato le possibili alleanze contro il nemico comune: la rendita.
Questo Meridionalismo a volte ha fatto fare, non senza fatiche e contraddizioni, veri passi avanti al Sud; altre volte è stato sospinto indietro. Oggi è sospinto indietro e la rendita prevale, fuori e dentro i partiti.
Eppure questo giornale dichiara l’ambizione di volere contribuire a riprendere la più seria tradizione meridionalista nelle condizioni presenti.
Ma ecco che si avvicinano le elezioni regionali. E, in democrazia, è tempo di bilanci e di proposte. Così, questa questione di guardare a una tradizione seria per uscire dalla crisi economica e sociale rigenerando la politica è una prospettiva che ci interroga e che pone almeno due questioni, alle quali dobbiamo rispondere e soprattutto devono rispondere i candidati, in primis quelli dei grandi schieramenti.
La prima questione è: quale classe politica, quali rappresentanti vengono proposti per guidare la società meridionale fuori dalla sua condizione di grave svantaggio?
Le polemiche sulle liste fanno certamente parte di questa questione. Ma i termini della polemica – sull’esempio del metodo di analisi del grande Meridionalismo – andrebbero approfonditi. Le liste così fatte – che, al netto delle brave persone e capaci – sono piene di interessati incompetenti oltre che di impresentabili, sono davvero solo errori politici? O sono, invece, il portato evidente di una lunga storia che ha prodotto una profonda degenerazione della politica, nel Sud ancor più che altrove?
In molti pensiamo che si tratti della seconda cosa. Perché – dopo una fase di vero sviluppo e di riduzione del divario con il Nord che vide anche buona politica in tutti gli schieramenti – è via via prevalsa la rendita rispetto agli investimenti produttivi, con la politica che non è riuscita a favorire la cultura dell’impresa, del lavoro, della legalità, del merito e della concorrenza e, invece, ha progressivamente dato luogo – insieme a vaste parti degli apparati pubblici e degli interessi corporativi e speculativi legati trasversalmente al sistema delle clientele – a un “blocco” di potere fondato sulla spesa pubblica male indirizzata, sulla rendita parassitaria. E sugli immensi profitti delle mafie. E’ a questa storia nostra che si è aggiunto un progressivo drenaggio di risorse dal Sud verso il Nord.
Dunque, la domanda che va posta è: chi si candida alla guida della regione vuole e sa davvero favorire la nascita di una classe dirigente capace e dedicata a una lunga, dura stagione di lotta alla rendita e al malaffare e di innovazione competente o pensa di usare gli arnesi della politica così come sono? E come intende dare forme stabili di coordinamento tra gli assessorati per rendere reali gli interventi sostenendo le parti buone della macchina amministrativa?