La candidatura di Mons a Capitale europea della Cultura del 2015 è una storia complessa di avventurieri coraggiosi, a cui si intrecciano avvenimenti fortunati e meno fortunati, grandi ambizioni culturali e popolarità architettonica. Vincendo insieme a Plzen nel 2010 la gara per la Capitale della Cultura, la città è stata notevolmente trasformata, nell’aspetto e nel carattere e si può dire che, forse, sia pronta ad affrontare le sfide del XXI secolo.
Mons storicamente è una città di miniere di carbone che alla fine dell’Ottocento attirò decine di migliaia di lavoratori provenienti da tutta Europa. Un giovane e idealista Vincent Van Gogh vi soggiornò per un periodo cercando di convertire al Protestantesimo immigrati poveri e disorientati. Il pacifista e imprenditore belga Paul Otlet volle raccogliere tutta la conoscenza del mondo nel suo Mundaneum, una sorta di banca dati Internet ante litteram che è ora ospitata nell’omonimo museo.
L’economia prospera, il know-how tecnologico e la confluenza di imprenditori procurarono alla città una ricchezza intellettuale ed economica che dalla metà del XX secolo è stata minacciata dal declino dell’industria mineraria belga, la quale ha riverberato effetti negativi sulla città, trascinandola dentro una spirale di letargia e depressione caratterizzata da emarginazione sociale, grandi scioperi dei minatori o disastri come quello di Bois de Cazier del 1956.
La preparazione di Mons 2015 divenne così un importante momento di svolta sia per la città che per tutta la regione. Non è un caso che Elio Di Rupo (alla seconda generazione di immigrazione italiana, diventato prima sindaco di Mons e poi primo ministro del Belgio tra 2011 e 2014) decise di prendere parte con Mons alla gara per la candidatura.
Vincerla ha dato impulso a grandi opere infrastrutturali ed è stato un ulteriore stimolo per la zona già scelta da Google, gigante dell’informatica nordamericano, quando nel 2007 decise di insediare nell’area uno dei suoi data center europei.