Chi l’avrebbe detto? Cacciata dalla porta negli anni del “miracolo economico” e della grande immigrazione interna che spopolò le campagne del Sud per popolare le catene di montaggio del Nord, l’agricoltura riappare oggi come forma avanzata della modernità, sotto l’aspetto economico e sociale.
Il riappropriarsi delle campagne da parte del capitale avviene all’indomani dell’esplosione della bolla della new economy e non è escluso che qualche causalità diretta ci sia. Scoppia la grande illusione del virtuale (per rinascere sotto forme meno velleitarie, ma di questo parleremo un’altra volta) e rinasce la centralità della vecchia terra, che si popola di nuovi imprenditori giovani, colti, creativi. Oltre che di vecchie volpi della finanza, nazionale e internazionale, che hanno capito quanto valga un ettaro di collina tondeggiante a Montalcino o a Montefalco, tanto per limitarsi al cuore geografico del paese.
La novità è che il ritorno alla terra è soprattutto un ritorno al territorio, cioè a quel mix di fisicità (monti, fiumi, colline, pianure, vegetazione), estetica (paesaggi), cultura (borghi, pievi, torri, casali), società (tradizioni, “spirito del luogo”) che fanno di ogni posto un luogo diverso da qualsiasi altro posto, e per questo desiderabile. Nel momento in cui le merci, e gli stessi prodotti agroalimentari, viaggiano da ogni luogo a ogni altro luogo nel mondo, creando quel mercato globale tanto detestato dai no-global, quegli stessi prodotti portano impresso il marchio della tipicità, della localizzazione, della unicità che ne decreta il successo. E che spinge milioni di persone a muoversi da una parte all’altra del mondo per andare a vedere, a conoscere i luoghi dove sono nati e cresciuti quei prodotti, generando un turismo nuovo, di qualità e ad alto valore aggiunto. Il trionfo del “local” nel contesto del “global”.
L’inchiesta che questo numero de L’Impresa dedica alla nuova imprenditoria agricola cerca di cogliere un fenomeno ancor più importante dei suoi numeri assoluti, un fenomeno che metterà alla prova nuove modalità di gestione di un settore che stava morendo perché impermeabile all’innovazione. L’agricoltura di cui parliamo non è certo quella delle quote latte, vergogna italiana che ha riproposto all’Europa la faccia peggiore del nostro paese, ma quella dei prodotti tipici di qualità. Come nell’industria, anche nell’agricoltura l’Italia può avere un ruolo da protagonista, purché se ne stia lontana dalla competizione sul prezzo e quindi sui prodotti a basso valore aggiunto. E oggi il valore aggiunto è soprattutto formazione, ricerca, severità dei controlli di processo, marketing.
Il servizio si chiude con l’agriturismo e quindi ci introduce in clima di vacanze. Quelle vacanze su cui interviene con la consueta ironia il “formattore” Enrico Bertolino, che lancia le sue strali leggere contro i manager che non riescono a staccare la spina e sotto l’ombrellone si portano i trattati di finanza invece dei classici della letteratura. Chissà cosa penserà Bertolino degli eroici, coraggiosi manager che sotto l’ombrellone leggono questo numero de L’Impresa… Sarà forse pensando a loro che abbiamo cercato di trovare temi un po’ diversi dal solito: si parla di cinema, libri, marketing