Una delle prime cose che mi è saltata all’occhio quando ho visitato per la prima volta il sito dell’artista con sede a New York Carla Gannis è stata, oltre al variopinto lavoro The Garden of Emoji Delights (2015) che introduce efficacemente il suo stile, il numero delle icone dei vari canali social online dai quali si possono seguire gli aggiornamenti sulla sua vita all’interno del mondo dell’arte (guardate le foto dei suoi viaggi e lo sviluppo del personaggio “Carla Gannis, l’artista”).
(https://www.pratt.edu/). I social media sono diventati il campo sia di battaglia sia di studio: la comunicazione online, le chat, le interfacce variopinte e allarmanti vengono usate da Carla Gannis in modo critico, diventando il materiale iniziale della sua ricerca artistica. É una dei più produttivi artisti digitali americani e negli ultimi mesi il suo nome è stato uno dei più ricercati sul mercato.
Filippo Lorenzin: Come descriveresti la tua ricerca artistica?
Carla Gannis: Il mio lavoro ha sempre origine dalle osservazioni culturali, per esempio come reagiamo emotivamente all’apparenza, come lo abbiamo fatto in passato e come potremmo farlo in futuro. Sono affascinata dalle modalità contemporanee della comunicazione digitale, dal potere (e a volte dalla perversione) dell’iconografia più popolare e dalla situazione dell’identità nei contesti confusi della virtualità tecnologica e della realtà biologica. Ad ogni modo, non descriverei quello che faccio come una pratica basata principalmente sulla ricerca. Si tratta più di un processo di creazione di una storia che si evolve al di fuori della mia appropriazione, assemblandosi, riproponendo immagini e contenuto.
Come storyteller visuale, racconto attraverso uno “specchio digitale” da cui emergono le riflessioni sul potere, sulla sessualità, l’emarginazione e le azioni. Lo humor e l’assurdo sono elementi importanti nel “racconto” delle mie narrazioni sociopolitiche; i motori, i software e gli hardware per la ricerca delle immagini mi permettono di “mostrare”.
Gli scrittori di speculative fiction Neal Stephens e Marge Piercy, l’artista new media Lynn Hershman Leeson, l’attivista cyborg Neil Harbission e il ricercatore e studioso di robotica Bruce Duncan appartengono a una lunga lista di pensatori preveggenti che mi ispirano a considerare più profondamente i digital network e i sistemi biotecnologici di oggi e domani. Allo stesso modo, le enigmatiche chimere nelle opere di un artista del Cinquecento come Hieronymus Bosch, del quale si hanno pochissime informazioni biografiche, mi ricordano che le evocazioni pittoriche del passato possono emergere nei cerchi in continua espansione della civilizzazione umana.