Di “spettatori” si parla molto ultimamente, attraverso progetti e processi che provano ad avvicinare uno dei due fondamenti della relazione teatrale. Se ne è sempre parlato, a dire il vero, o almeno lo hanno fatto maestri e innovatori della scena attraverso azioni e scritti che hanno immaginato e “inventato” i fondamenti stessi di tale relazione; così come lo hanno sempre fatto gli studiosi, concentrandosi sui meccanismi della ricezione (i lavori sullo «spettatore modello» di De Marinis, per esempio) o scavando nella sua sostanza antropologica (lo «spettatore partecipante» di Giacché). Esistono poi studi in campo filosofico ed estetico, la letteratura proveniente dalla critica d’arte (estetiche relazionali e dintorni) e il vasto campo delle poetiche, con relative dichiarazioni di quegli artisti che hanno posto la relazione al centro del loro lavoro, facendola diventare forma e contenuto delle opere. Tali esempi non sono altro che un abbozzo iniziale in un campo davvero denso, sapendo che di spettatori ultimamente si parla molto forse soprattutto perché di spettatori ce ne sono sempre meno, almeno per quando riguarda l’area delle arti di ricerca. Di spettatori si parla sempre più spesso anche perché i finanziamenti europei interrogano direttamente la questione dell’Audience Development, obiettivo trasversale alla programmazione culturale Creative Europe 2014/2020: qualsiasi progetto, piccolo o grande che sia, in settori creativi come cinema, teatro e perfoming arts, deve avere fra i suoi scopi uno “sviluppo del pubblico”, deve cioè favorire processi che rendano più ampio il numero complessivo degli spettatori ma anche mettere in moto meccanismi capaci di diversificare la loro provenienza e di instaurare una relazione più profonda, qualitativamente migliore.
Be SpectACTive
Enucleate tali premesse, pensiamo sia importante seguire da vicino il progetto Be SpectACTive, che coinvolge 12 realtà europee in 9 paesi, con capofila l’Italia e nello specifico il Comune di Sansepolcro e il festival Kilowatt. Be SpectACTive è stato selezionato come progetto di cooperazione di larga scala, avrà una durata di 4 anni dal 2015 al 2018, produrrà una ventina di nuovi spettacoli, organizzerà conferenze e incontri, offrirà residenze creative con lo scopo di avvicinare la produzione artistica alle comunità cittadine ma soprattutto, sul modello dei “visionari” di Sansepolcro (gruppo di spettatori che seleziona una parte degli spettacoli programmati al festival, partecipa a seminari di studio e organizza trasferte teatrali) il progetto favorirà l’attivazione di “spettatori attivi” in diverse città europee. Assecondando le linee guida dell’Europa, Be SpectaACTive tenterà dunque di rideclinare un’idea di spettatore collocandolo in prossimità dei processi organizzativi e gestionali, investendo sulla partecipazione culturale attraverso la creazione di occasioni di cittadinanza attiva. Il progetto si avvarrà di importanti strutture scientifiche per misurarne e monitorarne impatti e lasciti (dall’Università di Montpellier alla Fondazione Fitzcarraldo), scommettendo sulla possibilità di essere replicato altrove. Crediamo dunque che questo progetto rappresenti una buona occasione e che abbia una grande responsabilità fra le mani, perché in qualche modo potrà “dettare la linea” e indicare strade percorribili per diverse comunità teatrali.
Lo scorso luglio, un primo convegno internazionale ci ha permesso di intravedere le linee di lavoro e le domande in atto. Jean-Louis Fabiani, sociologo dell’Università di Budapest, ha introdotto i lavori portando spunti di riflessione ad ampio spettro, riferendo della necessità di tornare a discutere di “pubblico partecipante” riscoprendo il 1968 teatrale, l’esperienza del Living Theatre ad Avignone e, ancora prima, le nuove collettività cercate dal Théâtre Libre di Antoine e Gémier. Secondo Fabiani va discussa, con nuovi strumenti, l’idea che da una parte esista un teatro “alto” e serio – un teatro d’arte – e dall’altra un teatro d’intrattenimento, che diverte; se tali due nozioni non verranno messe in discussione, resteremmo alle prese con l’empasse di un teatro “commerciale” e di intrattenimento che però è popolato da un pubblico coinvolto, che si emoziona, si esprime e partecipa a in una misura non riscontrabile nel teatro d’arte.
I lavori sono stati portati avanti da Emanuel Negrier (Università di Montpellier), che nel processo di emancipazione dello spettatore ha individuato tre “stream of change”: la tecnologia e la rete, che incoraggiano approcci maggiormente cooperativi; la frammentazione sociale, a cui corrisponde una polverizzazione dei gusti; infine la generale “temperie politica”, grazie alla quale la legittimazione sociale dell’arte si sta spostando dall’aura dell’artista alla capacità delle opere di favorire la partecipazione dei cittadini. Se questi “stream” siano processi in atto, percorsi parzialmente disattesi o ideologie a rischio di demagogia sono domande da porsi nei prossimi anni. Luis Bonet ha delineato un modello di lavoro che deve favorire l’empowerment della relazione teatrale; una serie di obiettivi generali (supporto alla creazione e alla diffusione delle opere, aumento della partecipazione, tutela del patrimonio) si accompagnano necessariamente alla messa in atto di azioni complesse come l’individuazione delle eccellenze, il supporto all’innovazione, l’aumento della diversità culturale e delle relazioni internazionali. Per rendere possibile tutto questo, va messo al centro il concetto di “rischio”: sono le politiche culturali a doversi aggiornare per potere supportare tali obiettivi e azioni, sapendo che uno “spettatore attivo” può nascere non solo se saranno messi in atto di processi di co-creazione ma anche se saremo in grado di dotarci di organizzazioni culturali con strutture di governance aggiornate e preparate. Di tenore simile ma su un piano differente è stato l’intervento di Alessandro Bollo, che ha evidenziato la necessità di studiare l’impatto organizzativo dei processi di co-creazione. Servono strutture al cui interno sia possibile operare secondo una porosità di funzioni specifiche, in grado di sperimentare e di superare le logiche di segmentazione del pubblico provenienti dal marketing; la sfida principale, secondo Bollo, è riuscire a disporre di un tempo di sperimentazione e verifica che non può che essere molto lungo.