Muri, edifici, strade, piazze, sono tra gli elementi più stabili della società. Nelle città europee questa stabilità è positiva: rafforza un senso di appartenenza a una tradizione, o a una cultura. Mostra il valore positivo della diversità degli stili di vita e favorisce una salutare resistenza alla uniformità e alla omologazione. Consente infine di sperimentare mutevoli concezione della bellezza e di conservare atmosfere di epoche ormai passate.
In collaborazione con Master U-RISE Rigenerazione Urbana e Innovazione Sociale
Tuttavia esiste anche un senso in cui case e città sono dannatamente stabili. Ogni edificio di una città storica è stato “riusato” o “rigenerato” più e più volte per venire incontro ai cambiamenti economici e sociali e per soddisfare le esigenze del presente. Abbiamo così università, uffici, alberghi in palazzi nobiliari; case e ristoranti in antiche botteghe o in vecchi conventi; discoteche, palestre, centri commerciali in fabbriche o caserme dismesse e così via. Ognuno di questi “riusi” è più o meno riuscito e appare più o meno appropriato a seconda della sensibilità del tempo.
I Medici non si sono fatti scrupoli a usare nel Rinascimento le pietre di un grande anfiteatro romano ad Arezzo, pari per importanza e stato di conservazione al Colosseo di Roma, per costruire i loro palazzi. Oggi, la realizzazione di una metropolitana viene bloccata dal ritrovamento anche del più irrilevante sasso romano.
Il dibattito sul difficile rapporto tra innovazione e conservazione dell’antico è stato molto vivace nel corso del Novecento ed è stato recentemente ripreso, tra gli altri, dall’architetto olandese Rem Koolhas, per esempio a proposito dell’intervento di recupero statico e funzionale del Fondaco dei tedeschi a Venezia: un edificio del XIII secolo che è stato dapprima sede dei commerci della repubblica veneziana con i tedeschi, poi di uffici doganali, di una caserma e, più recentemente, di un ufficio delle Poste Italiane. Dell’originale è rimasta una porta sul Canal Grande, tutto il resto è stato rimaneggiato in base alle esigenze del momento.
La proposta di Koolhas di demolire alcune parti interne (recenti) e di costruire una grande terrazza sul tetto, come punto di vista privilegiato su Rialto e sul Canal Grande, ha suscitato vivaci proteste da parte dei cittadini. Ma che tipo di proteste? Per lo più quel che veniva lamentato era la destinazione di un edificio storico ad uso commerciale. Koolhas non ha avuto difficoltà a ribattere che le nozioni urbanistiche ed architettoniche ereditate dal passato possono essere inadeguate alle trasformazioni in corso o avere un effetto paralizzante per chi si trova a ragionare sull’innovazione e sul futuro di una città.
Resta discutibile il senso culturale dell’operazione: l’idea che un centro commerciale – per quanto sofisticato, con ampie citazione di luoghi simbolo della cultura di massa come la Rinascente – sia una forma di innovazione interessante per una città poco “novecentesca” come Venezia. Simili esempi di rigenerazione che non sono “innovazione”, né sociale né culturale, ma forme di adeguamento a modelli esistenti e magari già superati – per lo più dettati da interessi di natura economica – si moltiplicano. Meglio sarebbe che una città riuscisse a mettersi al passo con i tempi elaborando modelli di cambiamento capaci di valorizzare idee e modi di vita propri. Così come è stato, per esempio, in Italia negli anni Sessanta. Da Olivetti al made in Italy.
Nessuna azione di rinnovamento può fare presa su una popolazione passiva, conservatrice, diffidente e nessun fermento cittadino può cambiare una città governata da istituzioni immobili e burocratiche. Le condizioni per una pianificazione efficace – in un mondo imprevedibile e complesso, in continuo mutamento – sono venute meno. Coniugare rigenerazione e innovazione richiede nuove professionalità, una forma di design sociale e culturale, più vicino all’arte che a una semplice riprogettazione di uno spazio.
Una serie pensata da Master U-RISE Rigenerazione Urbana e Innovazione Sociale dell’Università Iuav di Venezia con cheFare dedicata ad approfondire la relazione tra ‘Rigenerazione urbana’ e ‘Innovazione sociale’, in altre parole tra la città e i suoi abitanti. A cura di Adriano Cancellieri, sociologo urbano; Elena Ostanel, planner; Simona Morini, filosofa; Francesca Battistoni e Claudio Calvaresi, imprenditori sociali.