Il titolo di questo testo rende omaggio al saggio In Defense of the Poor Image, in cui l’artista e scrittrice tedesca Hito Steyerl (2009) descrive quella specie di “spinta” che l’immagine povera – un’immagine che “è stata caricata, scaricata, condivisa, riformattata e rieditata” – acquisisce circolando in rete. Io sostengo che, nel campo dell’editoria digitale, i poor media, così come le immagini povere, sono in grado di “trasformare la qualità in accessibilità”.
Essi confermano il potenziale di duplicazione e diffusione del libro come medium. Al contrario, i rich media sono il prodotto di una dottrina commerciale basata su una concezione ornamentale della tecnologia digitale, una retorica hollywoodiana di coinvolgimento, e un’idea reazionaria del processo editoriale.
Prima parte: I rich media
Per poter elaborare il concetto di poor media, è necessario innanzitutto esplorare la nozione di rich media. Riferendosi al suo sistema pubblicitario, Google ne fornisce la seguente definizione: “Un annuncio rich media contiene immagini o video e implica una certa forma di interazione con l’utente. […] Mentre gli annunci di testo pubblicizzano tramite parole e quelli di visualizzazione tramite immagini, gli annunci Rich Media consentono al pubblico di eseguire molti tipi di attività sull’annuncio. Infatti, il pubblico può espandere l’annuncio, renderlo mobile, attivare l’espansione e la compressione e così via.” (“What Is Rich Media?” 2013). Secondo Wikipedia “il termine ‘rich media’ è sinonimo di multimedia interattivi” (“Multimedia” 2015).
I rich media sono emersi in un periodo in cui la banda stava aumentando e le gif animate venivano sostituite dai banner interattivi creati in Flash. Siamo nel 2001 e “Rich media è il termine in voga, ma molti sono ancora all’oscuro di cosa siano veramente i ‘Rich media’. […] L’espressione Rich media si riferisce all’utilizzo di diverse tecnologie che potenziano l’esperienza del ricevente. I Rich Media possono essere interattivi, e possono essere monitorati per determinare quanti tra i riceventi hanno aperto, visualizzato o risposto a una campagna” (“An Overview of Rich Media” 2001).
Sebbene l’espressione ‘rich media’ sembra aver avuto origine nel settore pubblicitario e il suo utilizzo nel tempo appare fluttuante, credo che essa rifletta con precisione la miscela di convinzioni e aspettative relative a quella che all’epoca si chiamava editoria elettronica, successivamente divenuta digitale. Come discuterò, anche la sua connotazione derivata dal marketing riecheggia nell’ambito editoriale.
Come accade con il Daily Prophet sfogliato da Harry Potter, i rich media hanno lo scopo di dar vita a un artefatto altrimenti inerte aggiungendo un elemento “magico” alla pagina stampata. Anche il pioniere informatico Alan Kay (2001) parla di magia: secondo lui le metafore utilizzate nelle interfacce utente non dovrebbero letteralmente seguire il mondo fisico ma esprimere ciò che lì non si può fare: “se [lo schermo] è simile a un foglio magico, allora è l’aspetto magico che conta.”
Nel gennaio del 2012 la Apple lancia iBooks Author, un software per creare ebook arricchiti che possono includere “gallerie, video, diagrammi interattivi, oggetti 3D, formule matematiche e altro ancora” (iBooks Author 2012). Grazie ai rich media, “i contenuti prendono vita come non accadrà mai in un libro stampato” (“iBooks Author” 2012). iBooks Author non necessita approfondite conoscenze tecniche né la capacità di scrivere codice. Gli utenti possono infatti scegliere tra parecchi template preconfezionati e personalizzarli secondo i propri bisogni utilizzando un’interfaccia WYSIWYG. Una volta realizzati, i libri possono essere resi immediatamente disponibili nello store di Apple.
Questo tipo di sfavillanti “enhanced books” prodotti, distribuiti e venduti all’interno dell’ecosistema Apple è ciò che in genere viene in mente a editori, designer e lettori quando si parla di ‘futuro del libro’. Nonostante il fatto che i libri arricchiti rappresentino una piccola, poco redditizia fetta della produzione complessiva di ebook (Huffington Post 2012), sia i professionisti del settore che il pubblico restano ancora sbalorditi di fronte a libri che si trasformano nel tempo, libri che parlano, libri che si autodistruggono, libri che reagiscono all’umore del lettore, libri che si connettono al luogo fisico in cui vengono letti, ecc. Apparentemente questa è avanguardia. La verità è la ruota viene continuamente reinventata.
Per poter fornire giusto un assaggio della complessa storia dei rich media e per ampliare la definizione accennata sopra, discuterò brevemente alcune tecnologie, idee, e momenti particolari che hanno contribuito a sviluppare tale nozione nell’ambito dell’editoria digitale.
E-Literature e narrativa ipertestuale
La definizione corrente di letteratura elettronica (e-literature o e-lit) fornita dall’Electronic Literature Organization (ELO) include “opere con importanti aspetti letterari che traggono vantaggio dalle capacità e dai contesti offerti dai computer stand-alone o interconnessi” (“What Is E-Lit?”). Molti generi possono essere considerati parte di ciò; uno di questi è la narrativa ipertestuale.
I primi romanzi interattivi come afternoon, a story di Michael Joyce (1990) e Victory Garden di Stuart Moulthrop (1992) sono oggi considerati delle pietre miliari. Queste pubblicazioni sono caratterizzate una notevole quantità di percorsi narrativi scelti dal lettore/utente. Entrambi i romanzi sono stati realizzati utilizzando Storyspace, un software creato da David Bolter e dallo stesso Michael Joyce (un altro programma di successo per produrre narrative ipertestuali era HyperCard della Apple).
Queste opere pioneristiche, insieme allo sviluppo della teoria dell’ipertesto, contribuirono ad alimentare l’idea, coltivata dagli e-writers, secondo cui l’interattività e le possibilità non-lineari offerte dal link ipertestuale potessero rivoluzionare la letteratura (vedi Hayles 2002, 27). Sulla rivista the New York Times Book Review, Robert Coover (1992) sanciva la fine dei libri intesi come esperienze statiche, monolitiche e unidirezionali. Al contrario, “con le sue reti di lexia collegati, le sue connessioni di percorsi alternativi […], l’ipertesto presenta una tecnologia radicalmente divergente, interattiva e polivocale, che favorisce una pluralità di discorsi a dispetto di un’espressione definitiva e libera il lettore dalla dominazione dell’autore”.
Gli Expanded Books della Voyager
In un episodio di Computer Chronicles del 1993, Bob Stein presenta alcuni prodotti della Voyager, società che ha fondato nel 1985. Tra di essi, A Hard Day’s Night dei Beatles è un esempio di CD-ROM multimediale dove le tradizionali categorie dell’editoria iniziano a convergere.
Stein mostra anche gli Expanded Books: una serie di ebook su floppy disk per Macintosh che “sembrano un libro e si comportano come un libro” (“Electronic Publishing” 1993). Tra questi, Il Ritratto di Dorian Gray include funzioni come la ricerca testuale e la possibilità di evidenziare e commentare dei brani. Il conduttore riconosce che ciò rappresenta più uno strumento di ricerca che un libro, tuttavia non sembra completamente soddisfatto e chiede dunque se sono presenti degli elementi grafici. Stein lo rassicura dicendo che il toolkit prodotto dalla Voyager permette di creare ebook che includono film, audio, immagini, ecc. Come mostra questo estratto, i primi ebook soffrivano di un complesso di inferiorità. La multimedialità era la cura: i video e l’audio rendevano un ebook unico e più accattivante di un libro stampato.
L’iPad
Nel 2010 viene presentato il primo iPad. Durante la sua introduzione pubblica, Steve Jobs ne descrive le funzionalità principali, ovvero le funzioni che questo nuovo dispositivo è in grado di svolgere in maniera migliore rispetto allo smartphone e al computer portatile. Queste sono: navigare in Internet, leggere email, guardare le foto e i video, ascoltare musica, giocare ai videogiochi, e, infine, leggere libri. Grazie alla sua maneggevolezza e all’alta definizione del monitor multi-touch, l’iPad diviene presto l’ambiente naturale per le applicazioni dei rich media, fondendo le operazioni chiave elencate prima.
La Digital Publishing Suite
Nell’attuale contesto editoriale, iBooks Author non è l’unico software proprietario disponibile per produrre pubblicazioni con rich media. Principalmente utilizzata per creare magazine multimediali, la Adobe Digital Publishing Suite (DPS) è stata recentemente nominata “la soluzione leader per l’editoria digitale” (“Adobe Digital Publishing Suite” 2012). La DPS permette di “creare, pubblicare, e ottimizzare applicazioni mobile content-centric” – un altro nome per le pubblicazioni arricchite. Presumibilmente, le applicazioni DPS sono ‘immersive’ e coinvolgenti, grazie “ai sofisticati trattamenti del testo con video, audio, animazione, e altri elementi altamente interattivi.” Per non ‘traumatizzare’ i suoi utenti, Adobe ha progettato la DPS come un’appendice di InDesign, mantenendo il suo flusso di lavoro orientato alla stampa praticamente intatto.
Social Reading
Il concetto di ‘social reading’ è emerso verso la metà del 2011 (“Social Reading” 2015) quando piattaforme come Goodreads – più tardi acquisita da Amazon – crescevano velocemente e gli e-reader come il Kindle iniziavano a permettere agli utenti di condividere le proprie attività di lettura sui social media. Secondo la definizione fornita da OpenBookmarks, il social reading è “tutto ciò che circonda l’esperienza di lettura dei libri elettronici” (“What Is Social Reading?” 2011), come nel seguente esempio:
Stai leggendo un ebook. Trovi un passaggio che ti piace, selezioni il testo e lo invii via email a un amico.
Perché considero il social reading un aspetto dei rich media? Perché alcune delle funzionalità che fanno parte della lettura sociale– come condividere le sottolineature – sono spesso incorporate all’interno degli enhanced book.
All Together Now
Shakespeare’s Sonnets, un ebook come app per iPad creato dalla casa editrice londinese Touch Press, è un esempio riconosciuto nel campo delle pubblicazioni arricchite. I Sonnets incarnano molte delle caratteristiche dei rich media descritte sopra. Per esempio, ogni sonetto è recitato da un attore famoso. Le interpretazioni sono incorporate nel libro in forma di video coinvolgenti. I sonetti sono accompagnati da due differenti serie di annotazioni. È anche possibile sfogliare un’edizione del libro del 1609 in quarto. Oltre a fondere testi, video e immagini, il libro rappresenta un’esperienza sociale di lettura dato che gli utenti possono condividere brani via email, Facebook o Twitter.
Riassumendo, i libri in rich media sono arricchiti da multimedialità, interattività e funzionalità sociali. I rich media promettono un’esperienza di lettura attiva, coinvolgente e pubblica, grazie a delle intuitive – “naturali” – forme di interazione, pressoché infiniti sentieri di esplorazione, e artefatti visivi dinamici e in alta definizione. Mentre i libri fisici sembrano al confronto obsoleti e inesorabilmente condannati all’estinzione, il processo per sviluppare i rich media è spesso idoneo al flusso di lavoro della stampa a cui i designer sono abituati, che viene quindi rinforzato.
La povertà dei rich media
Che cosa è cambiato dall’epoca degli Expanded Books di Voyager su floppy disk? Non molto. Ok, i libri non sono più entità isolate bensì parte di un’esperienza condivisa, ma l’idea di socialità che promuovono sembra il più delle volte racchiusa all’interno degli stretti confini dei social media dominanti. Il social reading può essere qualcosa di più che twittare brani. Lo stesso Bob Stein della Voyager ha più tardi fondato l’Institute for the Future of the Book, che tra le alte cose si concentra sulle tecnologie del social reading. Una di queste è CommentPress, un’estensione di WordPress che permette a utenti multipli di commentare ogni paragrafo, frase o parola di un determinato testo. Sia il testo che i commenti non sono bloccati nel libro, al contrario possono essere estratti tramite copia-incolla o RSS feed. Come si è visto prima, la definizione di OpenBookmarks è ampia. Ecco qui un altro esempio:
Stai leggendo un libro su un dispositivo, ma a metà ti sposti su un altro ereader. La tua posizione e i tuoi bookmark vengono automaticamente sincronizzati.
Il formato file di iBooks non permette tutto ciò appieno. I rich media spesso traggono vantaggio dagli sforzi compiuti per sviluppare degli standard aperti per l’editoria digitale senza dare nulla indietro. Benché il formato protetto di iBooks si basi sullo standard EPUB, esso non può essere letto da altri lettori ebook. Se da un lato iBooks permette funzionalità custom, dall’altro impedisce agli utenti di abbandonare l’ecosistema Apple. Ed Bott riassume così la strategia di Apple: “Inserire una categoria di prodotto supportando uno standard ampiamente utilizzato, estendere lo standard con capacità protette e poi sfruttare quelle differenze per svantaggiare i concorrenti” (Bott 2012). La conservazione è un’altra questione rilevante: come ci si comporta con molti standard in competizione? Guardando indietro, non molto è sopravvissuto dell’era dei CD-ROM multimediali.
Sia gli enhanced ebook che i libri come app sono sottoposti a una verifica qualitativa per poter apparire negli scaffali virtuali di Apple o Google. Ciò che queste società intendono con qualità non è così semplice come possa sembrare. Per esempio, un libro di Seth Godin è stato rifiutato da Apple poiché includeva “link multipli al negozio di Amazon” (Godin 2012). Geometric Porn, un’app che mostra “descrizioni non esplicite di organi o attività sessuali” (“Geometric Porn” 2012) è stata sospesa sia da Apple che da Google. Questi esempi indicano che il conflitto di interessi e la censura non riguardano solo gli ebook interattivi, ma l’impatto su questi ultimi si rivela spesso maggiore. Gli utenti possono comunque installare un’app o scaricare un file di iBooks da un’altra fonte che non sia Apple Store o Google Play, ma si tratta di un processo poco pratico e frustrante.
All’interno dell’ideologia dei rich media, il coinvolgimento attraverso la multimedialità e l’interattività è considerato un valore intrinseco. Le gestualità multi-touch e le transizioni sono reputate una modalità d’interazione con i dispositivi digitali non mediata e quindi più profonda. La realtà è differente: per Dragan Espenschied (2013), “Azioni semplici come ricerca, scrittura, revisione testi, calcolo e verifica diventano inutilmente difficoltose da eseguire […]”. La tastiera fisica offre invece “la più semplice interfaccia a due livelli: gli utenti alle prime armi si possono orientare visivamente, e se si avvalgono di alcune funzioni più spesso o più in dettaglio, possono utilizzare precise combinazioni e scorciatoie da tastiera per eseguire funzioni che sono presenti nelle loro menti piuttosto che sullo schermo del computer.”
In molti hanno paragonato l’iPad al Dynabook, un dispositivo prototipato di Alan Kay (quello del ‘foglio magico’) nel 1972, che non è stato mai effettivamente realizzato a causa delle limitazioni tecnologiche del tempo. Alan Kay (2013) stesso non ha approvato il paragone, dato che il DynaBook era stato pensato come dispositivo per la produzione intellettuale. L’iPad, al contrario, è orientato al consumo di contenuti. Non c’è bisogno di scrivere codice per rendersene conto, strutturare un breve saggio risulta già sufficientemente scomodo.
‘Rich media’ è uno slogan da addetti al marketing. Nell’ambito dell’editoria digitale, è l’idea stessa dei rich media a essere reclamizzata. Come accade nell’episodio di Computer Chronicles, non è il contenuto multimediale che conta, ma la sua stessa presenza, all’interno di una narrazione più ampia in cui lo sfavillio e l’alta risoluzione corrispondono al progresso tecnologico. Allo stesso modo l’interattività è presente in quanto tale, agendo come pubblicità gratuita per il dispositivo, il software di lettura e l’ecosistema editoriale in generale. “Gli accessori aggiungono una magia multi-touch ai libri su iPad e Mac” (“iBooks Author” 2012). Questa non è la magia autentica di cui parlava Alan Kay; è piuttosto un mero mucchio di trucchi chiassosi come i primi banner sul web.
Alcune esitazioni stanno emergendo: “Abbiamo inseguito le distrazioni e le abbiamo chiamate miglioramenti”. Con questo tono caustico, Peter Mayers (2013), designer di ebook, riassume sul New York Times la recente storia dell’editoria digitale multimediale. Invece di ‘rich media’, forse dovrei parlare di ‘media barocchi’, media che ostentano la propria opulenza tramite una user experience ornamentale.
I software come iBooks Author e Adobe DPS sono semplici da usare: non è richiesta la scrittura di codice e il processo di lavoro del designer non cambia. “Per costruire il tuo libro, trascina quel che vuoi, dove vuoi.” (“iBooks Author” 2012). Anche se gli utenti possono creare i propri widget, iBooks Author è orientato alla customizzazione. La DPS è un’integrazione di inDesign. Entrambi sono il risultato di un’idea molto precisa di cosa sia l’editoria e di come si debba praticare. Un’idea sviluppata tenendo a mente la stampa e con la fretta di raggiungere o costruire un pubblico digitale. Prestandosi bene ai volumi di grosse società editoriali, questi strumenti producono pubblicazioni e flussi di lavoro reazionari. Generalmente si ritiene che i rich media non siano costosi in termini di tempo, denaro e lavoro. Questo è vero fino a quando i paradigmi codificati nel software vengono accettati. Florian Cramer (2014) la mette in questi termini: “[…] cerchiamo soluzioni pragmatiche di lavoro – non soluzioni di design stilose che, pur impressionando, non rappresentano un modello funzionale alla vita reale […] Concentrarsi su progetti showcase è stato il tallone d’Achille di tutti gli sforzi dell’editoria elettronica e multimediale dall’avvento del CD-ROM negli anni ‘90 in poi.”
Uno degli ambiti in cui si suppone che i rich media abbiano un effetto rivoluzionario è l’istruzione. Il presupposto è che i ‘nativi digitali’ siano completamente a loro agio con la tecnologia digitale, quindi i metodi e gli strumenti di apprendimento si devono adattare a questa nuova modalità cognitiva secondo cui i libri di testo tradizionali risulterebbero statici, noiosi e quindi obsoleti. La discussione è generalmente supportata dalle frequenti statistiche che dimostrano l’estinzione dei lettori forti. La soluzione risiederebbe nei libri in cui ci sono “immagini da guardare, oggetti 3D che puoi toccare, approfondimenti, video e file audio da scoprire.” (“iBooks Textbooks for iPad” 2012).
Il filosofo italiano Roberto Casati (2013) chiama questo fenomeno “colonialismo digitale”. Condividendo le preoccupazioni di Alan Kay, egli pone l’accento sul modo in cui i rich media scoraggiano la produzione intellettuale. Casati afferma inoltre che essi impongono il multitasking come condizione continua e faticosa. Oltre alle notifiche push, un bestiario di altre distrazioni abita l’ambiente dell’iPad. Secondo alcuni dei primi sostenitori della e-literature, l’hyperlink avrebbe dovuto rivoluzionare la letteratura. Oggi, la rassicurante consequenzialità e la pacifica inattività dei libri tradizionali sembra offrire una via di fuga da questo martellante sovraccarico di informazioni.
I rich media riflettono i privilegi dei paesi ricchi. Molte pubblicazioni arricchite sono sviluppate senza considerare le condizioni hardware e della rete su scala globale. Nel 2012, il più leggero tra i primi otto libri di testo disponibili in iBooks pesava più di 700Mb. Alcuni erano addirittura più pesanti di 2Gb (Brownlee 2012). Tali file richiedono molto spazio disponibile e una connessione molto veloce.
I rich media sono ciò che i contenuti multimedia interattivi rappresentano
Un chiarimento necessario: non ho nulla in contrario alla multimedialità o all’interattività. Dopotutto, questo testo include video e link. Ci sono parecchie pubblicazioni interattive che apprezzo. Blackbar è la mia preferita: una distopia in forma testuale in cui il lettore deve indovinare una serie di parole censurate per poter procedere. Blackbar è stato creato nel 2013, ma poteva benissmo risalire a 30 anni fa. È un libro o un gioco? Chi può dirlo… Con ‘rich media’ non intendo semplicemente i contenuti multimediali o interattivi, bensì il miope entusiasmo commerciale nei confronti di queste funzionalità. In molti casi inserire contenuti multimediali e interattivi all’interno degli ebook ha senso dal punto di vista del business. La Rete è un ambiente eccezionale per la multimedialità e l’interattività. Attualmente i browser interpretano i codici HTML, CSS, e JavaScript in maniera decisamente migliore rispetto ai motori di render dei lettori ebook. Purtroppo però i siti web non sono così facili da vendere. Lincoln Michel (2014) suggerisce un territorio ulteriore: “A dispetto della regolare promozione pubblicitaria dei libri arricchiti/ipertesti/app/libri interattivi, non ne vedo una diffusione al di fuori di pochi mercati specifici come quello dei libri dell’infanzia e dei libri di testo. Il problema è che abbiamo già un’intera industria devota alla narrativa interattiva: quella dei videogiochi.” Tuttavia, gli editori vedono se stessi come produttori di libri e quando pubblicano libri enhanced promuovono indirettamente il dispositivo di lettura: la gente sarebbe interessata all’iPad senza nessuna applicazione che ne mostri il potenziale?
Parte 2: I poor media
Mentre i rich media enfatizzano le caratteristiche del libro come tecnologia di uso e consumo, i poor media esprimono e corroborano il suo potenziale di duplicazione e diffusione. Poiché il modo in cui l’informazione è strutturata può incoraggiare o, al contrario, inibire la duplicazione, i poor media includono anche le tecnologie di produzione.
Come quello di rich media, “poor media” è un concetto ampio dotato di varie sfaccettature. Prima di delineare una definizione, descriverò alcuni episodi in cui l’editoria digitale appare come una pratica sostenuta, stimolata o attivata dai poor media. Prima di tutto una considerazione: l’intera storia del libro, non soltanto dall’avvento delle reti digitali, può essere interpretata come la rinuncia a una certa idea di qualità materiale in favore di una più veloce duplicazione o un raggio d’azione più ampio. Secondo Cory Doctorow (2004), “ogni nuovo medium di successo ha sacrificato la sua ‘essenza di artefatto’ – il livello in cui esso è popolato da pezzi di atomi su misura, intelligentemente inchiodati insieme da esperti artigiani – a favore della facilità di riproduzione.” La Bibbia di Lutero non era decorata come le bibbie miniate dai monaci dal secolo precedente, i samiszdat antisovietici prodotti in copia carbone erano fragili e vulnerabili, le zine mimeografate erano per lo più economiche e disordinate.
Progetto Gutenberg
Nel 1971, durante la notte del quattro luglio, Michael S. Hart, all’epoca studente presso il corso in Human-Machine Interfaces dell’Università dell’Illinois, utilizzò il tempo disponibile presso il mainframe computer della sua università (tempo che valeva all’epoca milioni di dollari) per dattilografare e distribuire pubblicamente il testo della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. In un’epoca in cui i computer erano per lo più utilizzati per processare dati, sfruttarli per la distribuzione di contenuti non era una scelta ovvia. Secondo lo stesso Hart (1992), “il più grande valore creato dai computer non sarà l’elaborazione informatica, bensì la conservazione, il recupero e la ricerca di ciò che è archiviato nelle nostre biblioteche.”
Michael Hart era profondamente cosciente del potenziale di duplicazione dei computer, che considerava una forma di “tecnologia replicativa”. Questa attitudine, insieme all’adozione del “Plain Vanilla ASCII,”, uno standard per il testo universalmente accessibile, portò allo sviluppo di Project Gutenberg, una piattaforma su base volontaria la cui missione è di “incoraggiare la creazione e la distribuzione degli eBooks” (Hart 2004). Tutti i libri presenti su Gutenberg sono rilasciati in pubblico dominio e sono liberamente scaricabili.
Alle volte le intrinseche limitazioni del testo non formattato hanno portato allo sviluppo di soluzioni interessanti per includere le illustrazioni e gli elementi paratestuali di una pubblicazione. Si prenda in considerazione questo frontespizio di Flatland creato nel 2008. Evidentemente si tratta allo stesso tempo di qualcosa di meno e di più di una copia neutrale.
E-Zines
Ritorniamo per un attimo all’episodio di Computer Chronicle. Jerod Pore, parlando della sua e-zine Factsheet Five su The WELL, loda la disponibilità istantanea offerta da internet, sottolineando quanto poco costoso sia produrre e distribuire un’opera sia in termini di tempo che di denaro. Allo stesso tempo non dimentica di rimarcare che l’editoria elettronica come quella su carta non è gratuita se si considerano le risorse naturali.
Come i primi ebook del progetto Gutenberg, le e-zine erano originariamente formattate come testo ASCII. All’inizio erano diffuse attraverso il sistema BBS (bulletin board system). Secondo Jason Scott (1999), archivista presso textfiles.com, “Invece di perdere file di testo individuali nel mare delle BBS, molti scrittori scelsero invece di muoversi verso il modello della ‘Rivista’, dove potevano collegare insieme i file di testo e pubblicarli come un gruppo. Questo rafforzava la possibilità di sopravvivenza dei file e faceva sì che i file diventassero piuttosto pesanti, un segnale di qualità per gli utenti dei siti.”
Bookwarez
Parlando di ebook, Cory Doctorow (2004) indica un fenomeno che va sotto il nome di ‘bookwarez’. Dal punto di vista di Doctorow, gli ebook non sono necessariamente delle pubblicazione digitali prodotte e distribuite da una casa editrice vera e propria, ma possono altrettanto essere “edizioni elettroniche ‘piratate’ o non autorizzate di un libro, di solito fatte tagliandolo a pezzi e scansionandone una pagina alla volta, per poi trasformare le immagini in ASCII attraverso un programma di riconoscimento dei caratteri e in seguito rivedere il testo manualmente. Questi ‘libri’ sono pieni di errori introdotti dal programma di conversione (OCR).”
Markdown
Creato da John Gruber nel 2004, Markdown è un pratico linguaggio di marcatura che permette di creare un testo facilmente convertibile in HTML (ma anche EPUB, PDF e altro ancora). Al contrario dell’HTML, Markdown è facilmente leggibile dall’occhio umano: per esempio < em>corsivo< /em> diventa *corsivo*. Al contrario del formato .doc, Markdown non necessita di un elaboratore di testi dedicato: si può scrivere in Mardown su TextEdit come su Gedit o TextPad. “Markdown è un prodotto della cultura di internet. Esso comprende segni di formattazione ad hoc che erano usati normalmente nelle email e nelle chat e sono stati più tardi resi popolari attraverso le piattaforme di blog […]” (Digital Publishing Toolkit Collective 2014). Sebbene limitato e in qualche modo rigido, Markdown incoraggia la duplicazione e la creazione di istanze multiple di un testo in differenti formati. Esso facilita inoltre l’archiviazione dato che la sua struttura semantica è manifesta.
EPUB
Originariamente sviluppato intorno al 1998, l’EPUB (all’epoca OEB) è uno standard aperto per libri digitali sviluppato dall’International Digital Publishing Forum (IDPF). EPUB 3, la sua versione versione più recente, può includere audio, video ed elementi interattivi programmati con Javascript. Ciononostante lo considero parte dei poor media. Ecco perché: “Un concetto chiave dell’EPUB è che la presentazione del contenuto si deve adattare all’Utente anziché l’Utente si debba adattare a una particolare presentazione del contenuto” (International Digital Publishing Forum 2011). Invece di imporre le proprie caratteristiche, un file EPUB cerca di fare il meglio che può in ogni situazione, dai piccoli lettori E Ink ai tablet multi-touch. Inoltre la sua architettura interna è cristallina e facilmente accessibile. Un libro EPUB è in sostanza un sito portatile: una serie compressa di file HTML e CSS insieme a metadati e struttura.
Il formato PDF fu creato da Adobe più di 20 anni fa sulla base di PostScript – un linguaggio che ha profondamente contribuito alla nascita del Desktop Publishing – e più tardi rilasciato come standard aperto. Praticamente tutti i word processor possono esportare PDF. Questo formato è usato per tipi di documenti estremamente diversi tra loro, dai romanzi agli scontrini fiscali. Sebbene sia possibile introdurre elementi interattivi e video, qui mi riferisco alla sua quintessenza: “un biglietto aereo stampato o mostrato su uno smartphone, oppure il manuale che spieghi lo smartphone stesso, o ancora il rendiconto quadrimestrale che la società dello smartphone pubblica per i suoi investitori” (Gitelman 2014). Benché i PDF fossero originariamente pensati per la stampa, i browser ordierni li mostrano senza che sia necessario scaricarli. Come nota Alessandro Ludovico (2014), il PDF può essere visto come una sorta di sotto-medium, poiché da uno standard di produzione è passato a essere uno standard indipendente.
Print on Demand
Il Print on demand (POD) è un sistema che permette di stampare anche una sola copia di un libro e di rendere quest’ultimo disponibile per la vendita senza alcun investimento preventivo. Si può considerare ciò editoria digitale? Mi piace pensare di sì. I libri in POD rappresentano un genuino ibrido di processi digitali e analogici: immesso attraverso il regolare sistema postale, il libro fisico è la punta dell’iceberg di un’infrastruttura che trae vantaggio dalla stampa digitale, dal Desktop Publishing, dal formato PDF e dal Web 2.0. Inoltre, come N. Katherine Hayles (2007) ci ricorda, “Le tecnologie digitali sono ora così profondamente integrate con i processi di stampa commerciali, che la stampa dovrebbe essere considerata più propriamente un particolare output del testo elettronico piuttosto che un medium completamente a sé.”
Dal punto di vista di un graphic designer, il POD è molto limitante: la scelta è spesso tra paio di carte diverse e una serie di formati standard. Quando il numero di libri ordinati è esiguo, la stampa in bianco e nero è l’unica che conviene. Tuttavia, i libri in POD sono prodotti e distribuiti rapidamente: carico il PDF, ottengo un ISBN e il mio libro è pronto per essere acquistato (o scaricato). Immediatamente dopo, posso revisionarlo quante volte desidero. La versione trionfa sull’edizione. Non c’è bisogno di nessun intermediario, oltre alla piattaforma POD scelta.
I poor media favoriscono la duplicazione e incrementano la circolazione. Sono leggeri. Essi suggeriscono un utilizzo attivo: di frequente possono essere convertiti, dissezionati, remixati, riorganizzati, aggiornati. La modesta semplicità dei poor media non contraddice la possibilità di preservarli. L’aura di riproduzione che portano con sé ne amplifica la resilienza: “molte copie mettono l’opera al sicuro” affermano gli archivisti. La povertà dei poor media è in realtà una forma di frugalità, poiché è caratterizzata da una conscia e serena rinuncia all’ornamento a favore dell’accessibilità e della diffusione. L’aspetto spartano dei poor media potrebbe non essere bello, ma è senza dubbio affascinante.
Pubblicato originariamente in inglese all’interno di Printed Web 3, curata da Paul Soulellis, 2015, qui sul blog dell’autore – Traduzione dall’inglese di Veronica Giossi.