Dopo quarant’anni di onorata carriera nei licei classici della Sicilia, oggi il professore in pensione Mario Tona farà lezione alla sua nuova classe. Insegna Italiano. «Professore volontario», lo chiamano. Nel senso che lavora gratis. «Ciao a tutti, benvenuti» dice con voce emozionata.
Gli allievi lo aspettano davanti al Cortile San Nicolò, nel centro del paese. «Questa che vedete è la banca – dice il professore – qui potete depositare i risparmi, spedire soldi a casa, ai vostri genitori. Questo invece è il nostro Comune, cioè siamo noi. Tutti noi. E’ il posto dove cerchiamo di risolvere i problemi. Se camminiamo in questa direzione, venite con me, significa che andiamo in salita. Altrimenti, al contrario, scendiamo giù. Discesa».
La classe – 34 migranti provenienti da Gambia, Nigeria, Pakistan e Nepal – ripete le parole ad alta voce, proprio mentre la signora Carmelina Salomone sbuca dall’angolo per andare ad aprire il suo negozio di alimentari. «Ciao Kufi!». «Buongiorno Shyam». «Ciao Sonna». «Come stai Alex?». Baci e abbracci. La lezione viene sospesa per eccesso d’affetto.
Questa di Sutera, il paese che ha deciso di aprirsi al mondo per non morire, è una storia che sta arrivando lontano. Pubblicata prima dal settimanale americano Time, poi da un importante quotidiano canadese che ha mandato qui un suo reporter, è la storia di chi, innanzitutto, non vuole tradire se stesso. «Sutera è un paese di emigranti – dice il sindaco Giuseppe Grizzante – nei Sessanta eravamo più di 5 mila abitanti, ora non arriviamo a 1500. I ragazzi partono, sono sempre partiti. Per la Fiat di Torino, per la Necchi di Pavia, per il Nord Europa». Contadini in Inghilterra, minatori in Germania. E dopo tante partenze, a Sutera hanno pensato che fosse venuto il momento di ospitare qualche arrivo. «Nei nostri viaggi, abbiamo sempre sperato di essere accolti in modo dignitoso» dice il professore volontario Mario Tona. «Quello che cerco di fare, il più possibile, è rendere questi ragazzi indipendenti».