Le piattaforme italiane di crowdfunding raggiungono quota 82, ma sono ancora lontane dal “modello Kickstarter”. Pochi i progetti imprenditoriali, molte le iniziative legate all’associazionismo e al terzo settore senza obiettivi di business. E in tanti casi manca un piano articolato. Tanto che chi gestisce le piattaforme è costretto a scartare gran parte delle proposte ricevute.
Secondo l’ultimo rapporto sul crowdfunding dell’Università Cattolica di Milano, su 100mila campagne solo 21mila vengono pubblicate online. «È un indice dell’immaturità del settore», dice Ivana Pais, professore associato di sociologia della Cattolica, che ha curato il rapporto. «Vengono presentate campagne malcostruite o che poi non vengono seguite. Se si guardano le piattaforme, molte sono a zero euro, il che significa che non ci hanno proprio provato».
In base al censimento fatto dall’Università Cattolica, a fine ottobre si contavano in Italia 82 piattaforme di crowdfunding, di cui 69 attive e 13 in fase di lancio. A maggio 2014 erano 41, esattamente la metà. La caratteristica, dicono i ricercatori, è che le piattaforme crescono «per differenziazione, non per imitazione», come accadeva negli anni scorsi. Niente copia e incolla. Ognuno cerca la sua strada per finanziare progetti sociali, iniziative imprenditoriali, pubblicazioni editoriali, album musicali. I creatori delle piattaforme sono soprattutto uomini (68%) con un’età media di poco più di 38 anni. E l’81% di loro è laureato.