Ogni estate le cronache quotidiane di sbarchi e tragedie che coinvolgono immigrati clandestini e rifugiati che arrivano via mare sulle coste italiane riempiono i giornali, le tv, i siti di notizie e animano la discussione politica, economica e sociale dai più alti livelli istituzionali giù giù fino ai più beceri scontri nei quartieri o — dietro a una tastiera — sui social network.
L’argomento dopotutto ha tante e tali problematiche da essere un perfetto strumento di propaganda, sul quale speculare con proclami ai limiti (e spesso oltre) della disinformazione e col quale accendere gli animi dei cittadini.
E se il ruolo del designer è anche quello di “stimolare le persone al dialogo e creare dibattito su problemi reali”, allora la giovane designer torinese Marta Monge, classe 1990, da poco laureatasi alla Central Saint Martins di Londra, ha scelto il tema e il momento giusto per presentare la sua tesi di laurea che mira proprio ad accendere (in modo ragionato) la conversazione su quest’argomento di strettissima attualità.
La tesi si chiama Border Crossings e consiste in tre oggetti, “strumenti da viaggio”, pensati per i clandestini.
Il progetto però va molto al di là dei prodotti stessi, perché Marta ha immaginato e creato una fittizia agenzia europea, la Clandestinity Watch European Union Agency (per gli “amici” CWEUA) alle prese con un’indagine proprio su questi inventivi escamotage creati dai clandestini per superare viaggi al limite dell’umanamente affrontabile, realizzando una video-intervista con uno degli agenti della CWEUA, intento a mostrare i “reperti sequestrati”.
Il risultato è un intelligente corto circuito tra reale e immaginario (ma plausibile), che Marta ci racconta direttamente attraverso un’intervista che ho avuto modo di farle ieri sera.
Ma prima di andare avanti, caro lettore, guardati il video.