L’acceso dibattito seguito alla procedura di nomina dei direttori dei 20 principali musei italiani non ha colto una questione cruciale che influenzerà molto la reale capacità di intervento dei professionisti chiamati a dirigere le eccellenze museali italiane: il modello organizzativo. In effetti, i gravi limiti, da più parti segnalati, alla qualità del servizio di fruizione pubblica dei musei italiani (a cui lo stesso provvedimento del Ministro Franceschini cerca di porre rimedio) più che alle competenze scientifiche dei quadri direttivi, di regola eccellenti, sono strettamente legati ad una formula organizzativa ormai obsoleta caratterizzata da forti rigidità, soprattutto per quanto riguarda la gestione del personale.
Se, da un lato, il cosiddetto Decreto-Musei dispone come obbligatoria la presenza di alcune aree funzionali, come ad esempio il marketing, fund-raising o i rapporti con il pubblico, si pone, dall’altro, la delicata questione delle relative professionalità che assai raramente si ritrovano tra il personale del ministero, la cui individuazione ed assegnazione, peraltro, non dipende dal direttore. Non c’è bisogno di sottolineare che il museo, come ogni altro luogo d’arte, è fortemente esposto a critiche e giudizi proprio in ragione di essere ‘bene di fruizione’ , inserito in un complesso sistema d’offerta per un pubblico con molteplici e differenti caratteristiche ed esigenze. E, negli ultimi anni, al personale delle soprintendenze territoriali impegnato negli istituti museali, oltre che di conservazione, catalogazione, allestimenti museali, è stato progressivamente chiesto di occuparsi di marketing, web communication, fund raising, education….