Il volume collettivo La moneta del comune a cura di Andrea Fumagalli ed Emanuele Braga (Derive Approdi) raccoglie i frutti di un percorso di ricerca variegato, che ha visto come punto di arrivo l’omonimo convegno avvenuto a Milano nel Giugno del 2014, passando per iniziative precedenti a Londra, Amsterdam e Stoccarda. Perché questo interesse? La potenzialità della cosiddetta tecnologia “blockchain” è sempre più oggetto di discussione, dai convegni accademici ai board delle istituzioni finanziarie, dalle comunità hacker, fino agli imprenditori che stanno costruendo progetti attorno a questa onda tecnologica. La blockchain, il paradigma infrastrutturale alla base del successo planetario del Bitcoin, permette di “gestire la fiducia” in reti decentralizzate, consentendo lo sviluppo di sistemi monetari, contratti e altre forme di interazione ad “alta intensità di valore” non abbastanza stabili e sicure nelle reti peer to peer tradizionali.
Le promesse della decentralizzazione stanno quindi accendendo l’attenzione di diversi gruppi, spesso con motivazioni totalmente diverse: imprenditori e venture capitalist spinti dalle opportunità di profitto, esponenti del movimento libertarian e anarcocapitalista che vedono in questa onda tecnologica il potenziale di sganciamento dal controllo di stati e banche centrali, ricercatori e attivisti legati a movimenti sociali che vedono nella decentralizzazione una nuova forma di redistribuzione democratica del potere. Il libro curato da Braga e Fumagalli è fortemente orientato nell’organizzare quest’ultimo punto di vista, declinazione di analisi che accomuna quasi tutti gli interventi. Il concetto di “moneta del comune” è infatti legato all’intenzione di trovare strumenti e spazi per ripensare i beni collettivi in un’epoca in cui la semplice tutela statale diventa inefficace o controproducente. L’orizzonte di analisi diventa quindi quello di “hackerare” il sistema finanziario, al fine di liberare potenzialità produttive inespresse e ampliare le capacità di decisione democratica.
Il volume è denso di contenuti, qualsiasi recensione sintetica non potrebbe toccarli in modo esaustivo. Si va dai saggi teorici di Fumagalli, Marazzi, Terranova, Vercellone e Baronian, che si muovono nell’onda della prospettiva del marxismo “eretico” italiano, fino agli studi sulle monete locali e sui circuiti di credito commerciale – come il successo italiano del Sardex – da parte di Stefano Lucarelli. Si passa ancora dall’analisi di esperimenti di monete alternative basate su camere di compensazione, come quello di Nantes, da parte di Massimo Amato, fino alla discussione relativa all’impatto del capitalismo cognitivo nella finanza da parte di Griziotti e Vercellone. Non mancano proposte ed esperimenti ambiziosi, come quelli delle “FAZ” o Financial Autonomous Zones di De Simone e Giustini, le Commoncoin descritte da Braga, il Freecoin discusso da Sachy aka “Radium” e le FairCoop descritte da Avilés e Duran.
Alcuni di questi, come il progetto Robin Hood raccontato tramite un’intervista ad Akseli Virtanen, sposano pienamente la prospettiva da “hacking finanziario” e vanno a costruire strutture finalizzate a piratare / copiare le strategie degli investitori di successo per poi utilizzare i proventi per fini sociali, artistici e politici. Si giunge infine al Bitcoin, la criptomoneta che ha avuto diffusione planetaria con caratteristiche di resilienza e scalabilità fino ad ora insuperate. Denis Rojo, aka “Jaromil”, nel testo offre un’interessante prospettiva storica, culturale e sistemica sulle origini e sullo sviluppo della rete Bitcoin, enfatizzandone le componenti simboliche, comunitarie e antropologiche.
Alcuni dei filoni di analisi menzionati in precedenza esplorano una forma di collaborazione che potremmo definire “cryptocommons”. Si tratta dell’utilizzo delle tecnologie legate alla blockchain, delle applicazioni decentralizzate, delle DAO (Decentralized Autonomous Organizations) e delle DAC (Decentralized Autononomous Coroporations) per la libera condivisione di risorse tra pari. Nell cryptocommons le risorse sono monitorate, gestite e distribuite al livello algoritmico, il tutto su reti decentralizzate peer to peer e tramite software open source.
Perché costruire beni pubblici collettivi ancorandosi a tecnologie crittografiche? La blockchain consente di concepire delle “smart commons” in grado di evolvere, essere democratiche e decentralizzate allo stesso tempo, immuni ad attacchi di free rider o forme di appropriazione indebita, capaci di preservare le loro risorse nel lungo periodo tramite regole fissate al livello algoritmico. Le cryptocommons avrebbero la possibilità di una governance decentralizzata, basata sull’intelligenza della rete. Le semplici reti peer to peer non sarebbero sufficienti: la blockchain, assieme ad alcuni strumenti derivati come gli smart contracts, consente infatti di avere caratteristiche addizionali di sicurezza, stabilità, coordinamento e “intelligenza” per quanto riguarda la capacità di gestire asset di valore.
Il volume Moneta del Comune è in ultima analisi un prodotto interessante e di grande densità. Da un punto di vista critico, il testo presenta due pregi e due difetti essenziali. Il primo pregio riguarda la molteplicità di prospettive: giustamente avviene il superamento del concetto utopistico di criptomoneta “perfetta” e quindi si riflette su un ecosistema di strumenti, metodi e processi che vadano a coprire bisogni differenziati. In secondo luogo, è presente in modo chiaro una prospettiva sistemica, non si corre il pericolo di “innamorarsi dello strumento” o di abbracciare il soluzionismo tecnologico: buona parte dei saggi considerano la complessità sociale e politica, il fatto che le tecnologie non esistono in un “vuoto” ma vivono in un sistema economico con determinate caratteristiche strutturali.
Il testo presenta due limitazioni: in primo luogo, la carenza di prospettive diverse da quelle afferenti all’area dei movimenti sociali, della sinistra e dell’autonomia. E’ una mancanza comprensibile, dato che il volume nasce proprio per raccogliere contributi situati in quell’area politica, tuttavia ha ripercussioni in termini di profondità di analisi. Ad esempio, alcune delle critiche che la teoria economica mainstream può muovere ai progetti di costruzione sistemi finanziari alternativi sono molto fondate, in particolare per quanto riguarda l’implementazione di strutture di incentivi efficaci. Molte iniziative rischiano di avere vita breve e impatto limitato, specialmente nel caso in cui non fossero disegnate in modo corretto le leve di sostegno tecnico ed economico per i soggetti che dovranno coprire i costi di costruzione e funzionamento di queste reti.
Si tratta di una problematica evidente se si prende in considerazione la storia delle sperimentazioni di monete complementari e circuiti economici alternativi. In secondo luogo, è presente un limite di tipo teorico: in buona parte dei casi non è produttivo analizzare nuovi progetti di tecnologia blockchain senza entrare nel merito delle questioni tecniche, come ad esempio il ruolo giocato dagli algoritmi di consenso e la scelta delle infrastrutture da utilizzare (i.e. Ethereum o le sidechains sulla Bitcoin blockchain). Una discussione evoluta sui sistemici economico-finanziari alternativi non può prescindere da questa dimensione di approfondimento, fondamentale per penetrare il cuore delle questioni e creare esperimenti efficaci oltre la pura riflessione teorica.
Il prossimo livello della discussione dovrà inevitabilmente fare i conti con le battaglie tra diversi paradigmi infrastrutturali, il nodo della proprietà del codice, gli effetti network legati alle piattaforme tecnologiche dominanti e il dibattito internazionale sempre più articolato sulla criptofinanza e l’economia della blockchain.