E anche questa volta siamo arrivati in fondo. Sabato scorso, il 12 Dicembre, i finalisti della terza edizione di cheFare si sono riuniti tutti sotto lo stesso tetto, assieme a noi dell’associazione, ad numero molto ristretti di amici, ed alla giuria. Gli ultimi sei mesi, da quando è stato lanciata la chiamata per cheFare3, sono stati una corsa continua.
Solo i partner più stretti e gli amici più vicini sanno quanto sia impegnativa la macchina che sta dietro al bando. Ogni anno cerchiamo di perfezionare quello che abbiamo fatto nell’edizione precedente, e allo stesso tempo proviamo a inventarci nuove soluzioni.
La progressione matematica nel numero di progetti che ci sono arrivati un po’ ci conforta: 500, 600, 700. Ma riuscire a far circolare la notizia del bando – e soprattutto far comprendere realmente quello che stiamo cercando – ogni anno è una sfida.
Ci siamo affidati alle reti, on line e offline, di tutti quelli che stanno provando a fare cultura diversa in modo diverso. I telefoni si sono arroventati, i posacenere sono stati riempiti e svuotati innumerevoli volte, le tazze con i fondi di caffè si si sono accumulate.
Nel frattempo, abbiamo continuato a interrogarci su cosa vuol dire innovazione culturale con i testi pubblicati sull’Almanacco; come non ci stanchiamo mai di ripetere, non abbiamo risposte in tasca, ma solo tante domande da fare. La rete degli autori che pubblicano sull’Almanacco serve proprio a questo, a porre domande e proporre prospettive (inevitabilmente parziali, a volte contraddittorie, ma sempre coraggiose) su come si fa cultura oggi e soprattutto su come si farà tra uno, due, cinque anni.
Ed è sempre una sfida anche la fase di votazione online. I 40 progetti che vengono selezionati per “andare online” meritano tutti, idealmente, di vincere. La fase di voto è un momento difficile per tutti i partecipanti, lo sappiamo bene: occorre pensare nei termini di una grande campagna di comunicazione, uscire dalle proprie reti abituali e dagli ambienti conosciuti, sforzandosi di tradurre le proprie visioni e di imparare in poco tempo altri linguaggi.
Quei due mesi sono difficili anche per noi, che con la struttura di una piccola associazione indipendente cerchiamo di aiutare come possiamo e di tenere in piedi una macchina organizzativa di dimensioni colossali. Sappiamo che in molti, durante quelle settimane frenetiche, si sono chiesti “chi ce l’ha fatto fare?”; è la stessa domanda che ci facciamo noi tutti gli anni, con gli occhi arrossati dal sonno e la testa leggera per i pasti saltati: “chi ce l’ha fatto fare?”.
Eppure, quando arriviamo alla giornata finale con la giuria, troviamo sempre la risposta. Nei mesi precedenti facciamo di tutto per mettere della sana distanza tra i partecipanti e noi, per non finire coinvolti nelle mille fatiche ulteriori possibili in un percorso di questo tipo. Ma nelle lunghe ore in cui i progetti vengono passati al setaccio dalla giuria quella cortina un po’ artificiale che avevamo costruito si è progressivamente dissolta. A quel punto tutto era ormai nelle mani della giuria, e ci siamo ritrovati a conversare con i finalisti che sono, questo già lo sapevamo, figure esattamente come le nostre: operatori della cultura che di questa, con questa, cercano di vivere, strappando ai tempi difficili che viviamo ogni piccolo pezzo delle macchine ambiziose che costruiscono.
Gente che nel suo piccolo prova a volare in alto con la testa, senza dimenticare di tenere le mani in pasta nel farsi delle cose; che è convinta che l’unico modo possibile di vivere il presente sia bilanciare la lettura del passato con un’idea di futuro; che la cultura non è qualcosa che si tiene sotto vetro ma che si costruisce insieme, con l’esperienza quotidiana, la sperimentazione, le prove e gli errori.
Adesso sappiamo i nomi dei vincitori: La Scuola Open Source, Tournée da Bar, Baumhaus. Possiamo iniziare a respirare, finalmente. Siamo felicissimi, perché crediamo che la scelta della giuria sia stata in grado di interpretare in modo autorevole e coerente i valori che guidano il nostro percorso; eppure, come ogni anno ci rimane un po’ di gusto amaro in bocca, perché sappiamo che i progetti da premiare sarebbero stati molti di più. Ma di più non abbiamo potuto fare; faremo meglio i prossimi anni.