PlayStation, Bitcoin, app: così Internet è diventata il capro espiatorio di Parigi

Ad oggi sappiamo poco e niente di come i terroristi dietro agli attacchi di Parigi abbiano pianificato le azioni e abbiano comunicato fra di loro. Sappiamo che alcuni di loro si conoscevano, che alcuni abitavano nella stessa area geografica, al punto da potersi agevolmente incontrare anche di persona; che alcuni erano noti all’intelligence e alle forze dell’ordine di diversi Paesi. Sappiamo anche che la comunicazione fra questi Paesi non ha funzionato bene, e che ci sono stati dei buchi a livello investigativo.

Più recentemente è emersa la notizia, riportata da Le Monde, che l’ordine di iniziare l’attacco sia arrivato ad alcuni di loro attraverso un sms.

Tutto ciò non ha impedito di mettere sul banco degli imputati degli attacchi parigini una serie di tecnologie legate alla Rete. A dire il vero, sembra essere il Web il grande capro espiatorio di questi attentati. Ma ecco quali strumenti nello specifico sono finiti sotto la lente, malgrado l’esiguità delle prove a loro carico.

 PlayStation 4  

La voce che i terroristi avrebbero comunicato attraverso la PlayStation 4 – e che ne sarebbe stata trovata una a casa di un jihadista – è circolata ampiamente nelle prime ore dopo l’attacco parigino. Ma la notizia che sia stata ritrovata una PlayStation è stata poi smentita come una bufala, nata da un errore di un giornalista. E i commenti sul possibile uso della PS4 da parte di jihadisti, attribuiti al ministro dell’Interno belga Jan Jambon, risalgono a giorni precedenti agli attentati. Molti osservatori hanno poi notato che la crittografia usata dal sistema di comunicazione della PlayStation non sarebbe affatto inespugnabile, e che Sony sarebbe in grado di monitorare il suo network. Per altro sappiamo dai documenti di Snowden che gli agenti dell’intelligence occidentale monitorano anche utenti di Xbox Live, World of Warcraft e via dicendo.

Riassumendo: il problema non è la PlayStation ma forse il fatto che oggi ci siano una miriade di piattaforme e canali diversi che rendono complicato monitorare tutto. Soprattutto se l’approccio investigativo è di raccogliere nel mucchio – come sembra essere la filosofia dei programmi di sorveglianza di massa delle comunicazioni di Usa, UK, e Francia – invece di approfondire su obiettivi mirati.

Bitcoin  

Altra notizia che è circolata in queste ore è la presunta individuazione di un indirizzo Bitcoin da 3 milioni di dollari associato in qualche modo all’Isis (alcune testate si sono spinte al punto di legarlo agli attentatori parigini). Anche di questo però non ci sono per ora prove: la voce è stata diffusa da un gruppo di cybervigilanti GhostSecGroup, legati all’intelligence americana, che però non ha diffuso l’indirizzo in questione, che avrebbe permesso a tutti, proprio in virtù del meccanismo “trasparente” della blockchain, il database distribuito delle transazioni di bitcoin, di esaminare e tracciare la loro rivelazione. Lo scetticismo da parte degli addetti ai lavori, come mostra questo thread su Reddit, è forte.

E successivamente gli stessi GhostSecGroup hanno precisato che il citato indirizzo bitcoin non sarebbe collegato agli attentati a Parigi, anche se il loro sospetto è che possa essere legato in generale all’Isis. In ogni caso, commentano, rappresenterebbe solo una minima parte delle entrate complessive dello Stato islamico. Di sicuro, la maggior parte dei finanziamenti all’Isis, come spiegava l’Economist tempo fa, arrivano da ben altre e più larghe strade, a partire dal petrolio.