È arrivata l’ora di diventare adulti. Per i maker l’era romantica dei garage con quattro amici che si fidano gli uni degli altri sta lasciando posto a quella degli avvocati. È inevitabile, quando i soldi cominciano a girare, ma il “movimento” deve esserne più consapevole. È l’appello che lancia Massimo Banzi, fondatore degli hardware “open source” Arduino, quando comincia la terza edizione della Maker Faire di Roma, di cui è co-organizzatore. Lo affiancano Riccardo Luna, ex direttore di Wired, direttore di chefuturo e punto di riferimento della cultura digitale italiana, e la Camera di Commercio di Roma.
L’evoluzione dall’amicizia alle carte bollate è una storia che Banzi conosce bene, perché da anni ha vissuto una guerra legale con un ex socio fondatore di Arduino che ha registrato dei marchi a insaputa degli altri co-fondatori. Una vicenda che ha sconvolto i maker di mezzo mondo e che ha aperto loro gli occhi sulla necessità di attrezzarsi. Il movimento d’altra parte lo sta già facendo e l’evoluzione delle edizioni delle Maker Faire sta a dimostrarlo: da riunione di “geek” e smanettoni è diventata un centro di piccole e medie imprese, ma anche colossi tech. Perché il potenziale del business è alto e Banzi non nasconde l’insofferenza verso chi vuole i maker destinati a rimanere dei semplici “artigiani digitali”. Ma oltre al business, la terza edizione della fiera vede crescere esponenzialmente gli spazi per bambini: i laboratori sono più di 90 e l’education è stata messa al centro della manifestazione. Abbiamo raggiunto Banzi a poche ore dall’inaugurazione.
Com’è cambiata negli anni la Maker Faire e come sarà l’edizione di quest’anno? L’impressione è che si stia passando da una fiera per smanettoni a una fiera per imprenditori.
Uno degli obiettivi che avevo, quando abbiamo cominciato a lavorare assieme a Riccardo Luna e alla Camera di Commercio di Roma per portare la Maker Faire in Italia, era quello che a un certo punto ci fossero persone che usassero questa manifestazione per trasformarsi in piccoli imprenditori. Il primo anno speravamo di portare 10mila persone e ne arrivarono 35mila. Questo ha creato un grande interesse e necessariamente da allora la fiera è cambiata. Piano piano abbiamo capito come coinvolgere anche le aziende e settori caratteristici dell’economia italiana: il design, la moda e perfino il cibo, tutte cose nelle maker faire statunitensi sono meno accentuate.